La domanda può sembrare banale, in realtà ci introduce al cuore di un approccio consapevole e moderno al mondo della maglia, e del perché dobbiamo parlare di lane e non di lana.
Lana è una definizione generica e onnicomprensiva che racchiude in sé i velli di tutte le pecore del mondo. Un concetto al quale si è adeguata da sempre l’industria tessile per l’aguglieria producendo filati omologati principalmente all’idea di morbidezza. La morbidezza è quello che il mercato chiede, quindi è l’unico obiettivo, e le differenze tra le varie razze ovine spariscono confluendo tutte in un unico lunghissimo filo di lana morbida. Non a caso la sola lana a denominazione di origine commercializzata dall’industria è quella proveniente dalle pecore merino. L’industria non è mai andata oltre la pura lana vergine. Ma se spostiamo lo sguardo dal prodotto industriale agli animali da cui si ricava, ci possiamo rendere conto facilmente che le cose sono molto diverse. Che bisogna parlare di lane perché bisogna parlare di pecore.
La pecora in natura non esiste, ma è il risultato della domesticazione del muflone avvenuta circa diecimila anni fa in Medio Oriente. Da qui la pastorizia si è diffusa in tutte le aree temperate e fredde del nostro emisfero perché l’uomo ha selezionato le razze ovine secondo due criteri: l’adattamento all’ambiente e la produttività degli animali per la lana – dovendo considerare il latte e la carne prodotti secondari. Le caratteristiche del vello sono funzionali all’ambiente, perciò forniscono gli indumenti migliori anche per le popolazioni che vivono in quei luoghi. Ambienti diversi, lane diverse. Basta guardare le foto delle diverse razze ovine per capire quanto possano essere diversi i loro velli, e di conseguenza il filato che se ne ricava.
In base a queste considerazioni personaggi del calibro di Jared Flood e Clara Parkes paragonano il mondo della lana a quello del vino. La cultura enologica è ormai largamente diffusa e il vino generico non esiste più, ma si produce e si compra vino proveniente da specifici vitigni e da specifici territori. Come parliamo di Barolo e Sangiovese, Verdicchio e Sauvignon, riferendoci ai vini provenienti da questi vitigni, così dobbiamo parlare di Shetland e Merino, Blue Faced Leicester e Icelandic, Jacob e Cormo, quando ci riferiamo ai filati provenienti da questi animali. E come si miscelano diversi vitigni, così si miscelano filati di varietà diverse di pecore o anche fibre di origine diversa. Come il vino la lana è un prodotto agricolo strettamente legato al territorio. All’affermarsi di questa prospettiva, fatta di piccole imprese artigianali, ha dato un rilevante contributo la Campaign for wool promossa dal Principe Carlo nel Regno Unito, e la rinascita della produzione laniera negli Stati Uniti.
Nella pratica del nostro sferruzzare questo significa sapere che ogni razza ovina produce filati adatti a utilizzi specifici. Che, ad esempio, se il Merino è perfetto per un capo da collo o per neonati, per un capospalla o un pull da uomo è preferibile utilizzare filati meno morbidi ma più caldi e con una maggiore tenuta; o che la BFL (Blue Faced Leicester) ha una fibra lunga che si caraterizza per l’assenza di pilling e l’ottimo drappeggio. In merito a questo importante argomento pubblicherò una serie di post dedicati all’analisi delle principali razze ovine da lana per capire come utilizzare al meglio i filati provenienti dai diversi animali.